Duemilaeventi, venti giugno

Duemilaeventi, venti giugno

Termini,

E poi ci sei stata tu, da subito insieme a noi.
A suggerirci che fare, a indicarci dove andare.
A essere presente, alla fine di giugno al primo verdetto, ipotizzato e confermato a luglio.
Ci hai aiutato a comprendere i termini, termini che impareremo a conoscere meglio,

Pancreas. Già il nome suona di per sé cicciottello e grasso, ma anche stridulo. Pancreas, straniero in terra corporea. Sfido chiunque, ovviamente non medico come te, che conosca bene il ruolo di questo ghiandolone a traghettare le vie biliari.
Sto cominciando a conoscerlo, sto imparando a gestire la mia persona e le mie emozioni. A convivere la mia dolce metà e la mia famiglia. Tutti consapevoli di quello che accade, tutti a conoscenza di quello che capiterà.
Scrivere aiuta, sempre. A esternare il groviglio che si forma dentro e che in alcuni momenti sembra soffocarti, lasciandoti senza energie, dai capelli alla punta dei piedi. Pensieri che vanno a razzo, a random assalgono nell’incapacità di comprendere.
E quello che mi perplime Ross è che non ho ancora finito. Non ho finito di vivere la mia vita. Non ho finito di vivere la mie famiglia, ho appena cominciato. Non ho esaurito la voglia di crescere e imparare, nuovi progetti, nuovi lavori, nuovi studi. Non ho finito di vivere la mia casa, ancora non ho cominciato. Ho un sacco di cosa da fare e non ho finito.
Ma tutto passa. Più scatta la razionalità, più mi rendo conto che non sono immortale, e d’altro canto non è nemmeno così prossimo il mio momento, forse. Allora mi faccio prendere da energia positiva, nonostante alcuni disagi fisici e se sale la carogna, dribblo e trovo qualcos’altro da fare.
Grazie Ross per esserci in questo mio percorso e, se non chiedo troppo, felicissima se continuerai a farlo.
Benvenuto Kpancreas, a viverti siamo pronti.
#annodifficile

parole in libertà

Solo il meglio del meglio di  noi

La fluorite

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Racchia si nasce

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Tavernello-Pechino e ritorno

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Parlami o Neurone del Peloso Gatto

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In fondo al tunnel

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Eccetera eccetera

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anche tu

nella vita delle streghe

Ai tempi del Coronavirus

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D’un tratto,

d’improvviso e senza preavviso, ti sale un mostro dallo stomaco, quasi a immobilizzarti e a toglierti il respiro.
Non è tristezza, non è paura, è incapacità di contenere l’emozione che esplode, fatta di gesti quotidiani, di orari falsati, di pranzi e digiuni, di pensieri ed elucubrazioni, di dialoghi costruttivi e di monologhi auto distruttivi.
Quel continuo combattimento tra voglia di fare, di pensare e vedere positivo, di rendersi utile e l’incapacità di trasferirla in gesti concreti, gesti che motivino te e chi ti sta vicino, ma anche più distante.
Parafrasando Gabbani, se dovessi spiegare in pochissime parole il complesso meccanismo che governa l’armonia del mio essere, direi che ora il mio ruolo è quello di aspettare, senza starci troppo a ragionare.
E il mostro se ne va.
Pazienza, diciamocelo ogni mattina quando ci si inumidiscono occhi e guance.
Ci vuole pazienza e fiducia. Andrà, e sarà solo un ricordo.
#iorestoacasa

parole in libertà

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nella vita delle streghe

Tartarugando

Tartarugando

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Si sa, le emozioni vengono da dentro.
Ma solo qualche volta salgono lentamente dalle anse dell’intestino. Risalgono come i salmoni, controcorrente.
Non con impeto, non sono l’emozione del primo bacio che ti aggroviglia le budella, che ti accalora con vampate  ipertermiche ben note in menopausa.
No, no, è diverso, è un teporino che sale ‘tartarugando’, che non ti infiamma ma ti scalda, al punto di darti fiducia,  di farti sentire un po’ meno piccola, un po’ meno ridicola, un po’ meno incapace, un po’ più voluta, un po’ più valorizzata, un po’ più compresa.
Anche se lontana da traguardi insperati che mai avrai perché non è nella tua indole, né nel  tuo dna,  forse così mediocre non sei e qualcuno  lo crede più di quanto  faccia tu stessa.

Devi ringraziare Mario questo giorno, che non hai cercato, ma che lui ha cercato te. Per farti sentire, oggi e in più occasioni, cosa sei e come sei.

Ma dove sei?

Ma dove sei?

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In principio è ovvio, ti sei nascosto per non farti travolgere dal mocio piovra.
In un momento di disorientamento ti ho visto prendere la strada del corridoio, alla volta dello stanzino, tutto raffreddato.
Ti ho incrociato sotto il tavolo e sei certamente passato attraverso le fauci di #gattocozza, da come ti ha spolpato o meglio spolverato.
Ma da lì ho perso le tue tracce.

Allora dove sei? La tua scomparsa non è certamente dovuta a un eccessivo attacco di casalinga isterica con Dyson per due buoni motivi. Uno, nulla cambia tutto si rigenera, ergo disordinata ero e disordinata rimango.
Due, ragione ancora più valida, il Dyson non ce l’ho.
Quindi? Dove ti sei nascosto?
Va beh, non importa.
Ma d’improvviso eccoti lì.
Ho messo gli occhiali.
Lì tutto impaurito!
Non guardarmi così, tranquillo, non ti “straccizzo”.

Perbacco quanto mi sei mancato Bagolo!

da La Saga del Bagolo

Ma dove sei?

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bagolo

Ti accompagno in camera, pulisco domani

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Neurone a San Lorenzo

Neurone a San Lorenzo

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Cadere a terra, non elegantemente come le stelle a San Lorenzo.
No, spiattellarsi a terra. E già di per sè è un fastidio. Qualsiasi cosa cade arreca fastidio più o meno intenso.
In cucina la fettina con la marmellata matematicamente con la faccia rivolta verso il basso, in strada il cellulare, dall’alto scientificamente dalla parte dello schermo, magari dentro una pozza d’acqua durante un improvviso tsunami.
Innumerevoli esempi potremmo fare. Anche decisamente più fastidiosi.
Poi cadono le foglie e i fogli e cadono anche le cose più semplici: le classificherei come quelle che servono meno.
A casa mia di quelle ne cadono tante .. o meglio cadono e nessuno le considera, quindi diventano tante a occhio nudo.
Il calzino pulito in corridoio caduto durante la frettolosa sistemazione del bucato, la forcina o l’elastico dell’apparecchio in bagno in un punto in cui tutti passano e nessuno la raccoglie.
Credo che il neurone di ciascuno di noi venga folgorato necessariamente da un “non è mio” o da un ” lo vedo e me ne frego” ma anche da un “lo raccoglie qualcun altro”. Intanto il calzino giace imperterrito da due giorni e non posso credere che vi sia anche solo un neurone che dica “non lo ho visto”.
E lo raccolgo, nella notte di San Lorenzo..